Non seguo molti blog, non seguo molti blog di yoga, soprattutto italiani. Per abitudine, credo.
Ma una ragazza, Francesca Proia, scrive molto bene, centrando spesso punti importanti della pratica più profonda, quella che va oltre l’angolo che un piede deve assumere rispetto all’altro in virabhadrāsana. Il suo ultimo post (link in fondo) mi ha fatto pensare e qui trovate una piccola ulteriore riflessione.
Credo che ci possa essere in tutti noi, almeno all’inizio, un’idea incorretta del potenziale salvifico dello yoga.
Dopo una lezione di yoga ci sentiamo bene. Sciolti ma tonici, all’erta ma sereni. Non è incongruo pensare che questo benessere si possa estendere alla vita – e difatti spesso è così – ma spesso facciamo un grosso errore.
Pensiamo che lo Yoga farà scomparire i nostri problemi, che sono legati a nonvederedesideriavversioniegopauradiscomparire. Ma anche questo è nonvedere. Lo Yoga non farà scomparire nulla. Proprio nulla.
Viene spesso usata l’allegoria degli occhiali nello yoga, si dice che le lenti attraverso cui guardiamo la vita siano colorate o annebbiate, che non ci permettano di vedere le cose come stanno davvero. La pratica dovrebbe funzionare da vetril, puliamo le lenti e finalmente ci accorgiamo che quel pezzo di corda era in effetti un serpente. O viceversa.
Inizialmente la visione schiarita funziona meglio sugli altri, cominciamo a percepire le loro sofferenze e inquietudini. Possiamo cercare di non aggravarle o magari, se siamo proprio ambiziosi, cercare di alleviarle.
E spesso ci fermiamo qui. A guardare gli altri. Ma c’è un passo più difficile e importante, in questo percorso, che è quello di guardare a noi stessi.
Nel momento in cui riusciamo a inforcare gli occhiali e a osservarci dal punto di vista dello spettatore, il nostro melodramma umano diventa il film di cui noi stessi siamo protagonisti. Smettiamo il ruolo di Rossella O’Hara e diventiamo lo spettatore che piange e ride, ma che esce dal cinema quando la proiezione è finita lasciandosi la storia alle spalle, prima di comprare il biglietto per un nuovo film.
I film più importanti rimangono dentro di noi e ci cambiano, ci fanno riflettere, ci insegnano. La loro visione ci insegna ad apprezzare quella successiva in maniera più matura. Da semplici spettatori possiamo poi sviluppare un senso critico e magari fare di questa capacità il nostro impegno quotidiano.
Così dovrebbe essere lo Yoga. Dovrebbe insegnarci ad essere critici cinematografici, a mantenere la capacità di valutare se la recitazione è troppo marcata, se la trama è debole, se il film è troppo lungo, se la storia è già vista oppure originale. Il critico cinematografico ama il cinema, espressione geniale della vita.
Il critico nella sua recensione assegna una stella al polpettone che sbanca al botteghino, ma guarda il film fino in fondo.
Il link al blog di Francesca: https://inis-witrin.blogspot.it/2017/03/la-foresta-intorno-al-cuore.html