Con una cara amica si parlava. Di noi, di yoga, di scienza, di cibo, del più e del meno, di tutto e di più.
La mia amica sta affrontando un periodo difficile, sia lavorativo che fisico. In entrambi i casi si sente sotto ricatto. Al lavoro, per via di politiche che la vorrebbero complice di azioni che non ritiene giuste, ma dove il sottrarsi alla complicità potrebbe avere un impatto negativo sulla progressione di ruolo. Nel corpo, perché si rende conto che praticare attività fisica nelle modalità che le sono familiari potrebbe compromettere la sua salute.
In entrambi i casi, sta valutando la fuga. Altre possibilità lavorative, e rinunciare a praticare per non cambiare l’approccio con cui si mette in relazione con il proprio corpo.
Avendo riconosciuto in sé questa tendenza, non le pare di doverla assecondare.
Scappare non è mai una soluzione, si dice… ma sarà vero? È proprio vero che scappare è da vigliacchi, e che bisogna farsi forza, trovare una strategia per resistere?
Se pensiamo alle tre qualità della materia (e quindi della nostra mente), lo stato a cui vogliamo tendere è quello di sattva, una calma lucida e serena. Le altre qualità, di movimento-irrequietezza (rajas) e inerzia-pesantezza (tamas) non possono mai essere eliminate completamente, ma cerchiamo di limitarne l’impatto.
Restare a lavorare in un posto che ci opprime crea scontento e negatività. Lo so per esperienza personale. Hai voglia a farti il lavaggio del cervello e pensare agli aspetti positivi legati al rimanere, quando ogni mattina ti alzi scontento e rivedere le stesse facce ti fa andare tutto di traverso. È un’oscillazione continua tra rajas e tamas, di sattva manco a parlarne.
Ma se cambiare lavoro (ammesso di riuscirci) ci riportasse in uno stato di quiete, non sarebbe un’opzione da privilegiare, anziché vedere questa scelta come una fuga?
È ovvio che occorre analizzare le cause della crisi, per evitare di ricrearle nel nuovo lavoro, anche perché si è sempre parte in causa, con proprie personalissime responsabilità, che spesso tornano a fare capolino quando meno te lo aspetti.
Ma l’orgoglio è un grande nemico. Non fa altro che riproporci schemi che spesso non ci appartengono, che si plasmano su quello che noi pensiamo debba (!) essere il nostro ruolo di fronte agli altri, ma che spesso ha poco a che vedere con quello che noi pensiamo veramente di noi stessi.
Avete mai visto un bambino che casca in terra e nessuno lo guarda? Si rialza e procede. Ma se c’è qualcun altro in giro, spesso la reazione alla caduta è completamente diversa.
Inoltre, una volta ammessa la possibilità che ‘fuggire’ sia un’opzione più che lecita, potrebbe anche succedere che la mente si schiarisca, come per magia. Essersi lasciata aperta una possibilità, anziché negarla a priori, può aiutare a valutare con maggior serenità quale è davvero la scelta giusta per noi.